Adonis, una crêpe a San Salvario

Il locale, nel cuore di San Salvario, è per ora piuttosto piccolo, ma il futuro, lo sappiamo, siede sulle ginocchia di Giove.  Qui si fanno crêpes e galettes in puro stile bretone, correttamente accompagnate da un ottimo sidro. Eppure che non siamo in Bretagna lo si vede subito. E trovo questo, se possibile, un ulteriore merito aggiunto all’intelligente progetto del locale: lo dico da turista irrimediabilmente innamorata delle coste bretoni. Il felice equilibrio scevro da inutili scimmiottamenti che qui si respira tra due realtà comunque diverse, quella del nord della Francia e quella di una Torino pur anche “piccola Parigi”, non può che fare del bene a entrambe. Basta dare un’occhiata in giro per accorgersi di non essere in un bistrot di Quimper o di Saint Malo: sobrietà sabauda dagli arredi minimalisti, comprese le poche e indovinate immagini alle pareti, agli spartani tavolini; concretezza e semplicità bretone nelle proposte del menu, rigorosamente essenziali. Qui conta soprattutto la qualità delle materie prime, tanto per l’impasto delle crêpes e delle galettes che per la loro farcitura. Dove, bella sorpresa, la fantasia propone felici accostamenti: dal Lardo di Arnad alla Salsa Aillade, dalla Bottarga di tonno di Marzamemi al Fromage de Chêvre, nonché…

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Mai dire mai: elogio di uno Syrah

Bevuto ieri sera in una splendida cena casalinga, dopo averlo scelto tra quello che offre al momento la mia cantina per accompagnare uno dei miei piatti più amati: tajarin al burro con grattata di tartufo. Il tartufo - mi riferisco naturalmente a quello bianco, il nobile Tuber magnatum  Pico - non è il massimo in questo autunno del 2014, e questo già lo sapevo. Profumatissimo, non si rivela poi all’altezza di quello che il suo bouquet sembra promettere. Ma sempre tartufo è, arrivato da fonte sicura e conservato con tutti i crismi. A questo piatto si sposa benissimo la Barbera, dice la tradizione. Meglio ancora se giovane, dicono alcuni. Meglio ancora se di Alba, dicono altri. Per una volta mi sono sottratta alle regole ho voluto sfidare la sorte regalandomi un abbinamento a sorpresa. A patto, però, che la sorpresa fosse bella. Francia, Regione de la Rhône-Alpes, dipartimento di Drôme: Tain l’Hermitage. Piccolo gioiello, scoperto per caso lo scorso giugno di ritorno da una vacanza in Bretagna. Oltre a quello con bellezza della natura – immerso nel verde, traversato dal fiume - che ne fa un luogo da vacanza tranquilla e un tantino d’élite, piacevolissimo è stato l'incontro con la…

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Leonardo, la Biblioteca e il Re

Nella Biblioteca Reale non ero mai entrata e come me, credo, molti altri torinesi. Tanto meno quindi nel nuovo spazio espositivo, ricavato dai caveau sotterranei, che ora ospita la mostra Leonardo e i Tesori del Re, troppo preziosa per non essere cautelata al massimo.  Scontato dire che è stata una bella esperienza. Non è invece così scontato, almeno per me, scoprire ogni volta che l’arte, la grande arte, ha in serbo in esclusiva per ciascuno di noi una diversa emozione. Così io, che come tanti ero lì per respirare la “sacra aura” dell’Autoritratto, mi sono ritrovata catapultata in un viaggio a ritroso nel mio tempo personale. Prima fase, l’ingresso nella grande Sala superiore della Biblioteca. Qui il salto all’indietro è stato di pochi anni, condiviso con un rapido colpo d’occhio con l’amica Roberta, compagna di visita nonché di rassegnato incolonnamento tra la calca dei visitatori. Rieccoci a San Gallo, in un giorno di pieno inverno del 2010, nella Stiftsbibliothek. Luogo certo ben più celebre, e celebrato, e anche molto più luccicante, visto che qui a Torino nessuno, fortunatamente, è stato costretto a strisciare sul pavimento con le pantofolone di feltro di elvetica ordinanza! Ma l’impressione, mi perdonino gli Svizzeri, per…

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Le Monde de Don Cabillaud: il pesce di Borgogna

Sera di nebbia ad Autun. Normale, al 20 di novembre. Un’arietta umida e penetrante che certo non invoglia al passeggio serale, o forse – come mi è già capitato di sperimentare nella provincia francese – un’abitudine diversa degli indigeni a gestire le ore. Aperitivo, cena, dopocena. E alle otto di sera si è in forte ritardo per mettersi a tavola. Sarà per questo che le vie sono così deserte?  Così tranquille e vagamente inquietanti, come in certi film di fantascienza da disastro post nucleare, senza più traccia di umana sopravvivenza? Ma per fortuna siamo arrivati alla nostra mèta: Le Monde de Don Cabillaud, un ristorante… di pesce! Sì proprio qui, nel cuore della Borgogna. Scelto per giocare al ribasso – stasera meglio stare leggeri – è stato invece l’esperienza gastronomica migliore di questa breve vacanza, e certo una delle tavole in assoluto più interessanti a cui mi sia capitato di sedere. Locale piccolo, in apparenza informale in realtà curatissimo in ogni dettaglio, toilette compresa – il che in Francia non è così usuale, purtroppo – ci si trova subito a proprio agio, accolti con cordiale semplicità. Lo chef cucina a vista, con grande naturalezza, proprio come chi non ha segreti…

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Oliveri, il mistero dei funghi

Stagione strana per i funghi quest’anno. Giorni in cui ne compaiono cassette intere sulle bancarelle dei mercati e poi di colpo più niente, per settimane intere. Ancor più strane sono le tavole dei ristoranti. C’è chi te li offre comunque, fritti e croccanti (e insapori); chi ti dice, onestamente, che al momento non ne ha e può, al massimo, recuperane qualcuno (messo via dall’anno scorso? surgelato? …) per il sugo dei tajarin; e c’è chi invece, incredibilmente, te li prepara al momento, ottimi e abbondanti.  Mistero? Forse un po’ sì. Figli di un mondo notturno, i funghi, come i loro sotterranei fratelli, i tartufi – che guarda caso stanno anche loro vivendo una strana stagione – non rispondono ad altra legge che alla loro, non del tutto prevedibile e, per nostra fortuna, assai insondabile dall’umana esperienza. Tutto questo per arrivare a parlare di un eccezionale vasetto di funghi porcini conservati in olio extra vergine che ho assaggiato all’ultimo Salone del Gusto e che non ho esitazioni a definire il migliore della mia vita. Almeno finora. Li prepara Oliveri, un’azienda artigianale di Acqui Terme, nel cuore dell’Alto Monferrato, che da tre generazioni si occupa di preparazioni alimentari. Mi ha raccontato il…

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L’inattesa bellezza di un corpo trafitto

A questa mostra sono innanzitutto davvero grata, perché mi ha dimostrato che sono ancora capace di provare emozioni. Una sorpresa, non saprei come definirla in altro modo. Conoscevo già, e mi era piaciuto subito, il Castello di Miradolo, nuova e promettente sede di eventi d’arte tutt’altro che scontati, che deve la sua rinascita all’energia vitale di una signora che risponde al nome di Maria Luisa Cosso. Qui avevo già visitato la mostra sulle Donne del Risorgimento, che mi aveva colpito per il suo taglio intelligente e mai banale. Ma San Sebastiano è ancora un’altra cosa. Lo definirei un percorso di educazione alla bellezza. Del corpo, certo, come è ovvio che sia. Un soggetto che è stato scelto dai suoi autori, come ha suggerito benissimo il curatore (e ideatore del tutto) Vittorio Sgarbi, non certo per celebrare la santità di un martire.  Questo Sebastiano è Adone che prefigura Cristo, ma è soprattutto “l’uomo del Rinascimento con le sue passioni e le sue aspettative sul mondo e sul futuro”. Ma non basta radunare un gruppo di capolavori, sia pure scelti con cura e attenzione, perché il miracolo si compia. La meraviglia di questa mostra è che qui “ogni cosa è illuminata”. E…

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Il mondo filtrato dall’ “invenzione” dell’arte

Ce l’ho anch’io un ricordo di Casorati, anche se non proprio, come si dice, di prima mano. Una mattina di scuola, credo fossi in prima liceo, il mio professore di storia dell’arte, il pittore Riccardo Chicco, che di Casorati era stato allievo, ci raccontò di come aveva imparato a “fare” il nero. Tante righine di colori diversi tracciate una vicina all’altra e poi il dito del Maestro che ci passava sopra, confondendole. Ne era uscito un nero brillante e vivido, naturale e luminoso. E tutto nero, anzi nero su nero, è il primo quadro della mostra, quello che fece decidere Casorati di “fare il pittore”, il Ritratto della sorella Elvira che per me rimane uno dei più belli, e rivelatori. Non tanto perché sembra un po’ diverso dagli altri, più figurativo, meno geometrico e austero nonostante l’apparente non-colore, ma perché mi pare che qui l’autore dica anche qualcosa di sé. Il suo divertito amore per la pittura, per esempio, che può essere anche un serissimo gioco: la sorella trasformata in sdegnosa nobildonna, con tanto di stemma e nome in scrittura gotica. E già la voglia di raccontare il mondo e la vita non come appare, ma come è davvero, e…

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Questa volta i tre gufi… hanno portato bene!

Malanghero, frazione di San Maurizio Canavese in provincia di Torino, è un paesino piccolissimo, che si sviluppa lungo via Aldo Devietti Goggia – non sono riuscita a sapere chi fosse, attendo notizie – che praticamente fiancheggia la pista di atterraggio   dell’aeroporto di Caselle. Rumori di jet e quiete dei campi si alternano con accettabile regolarità, almeno nelle ore del giorno di cui sono stata testimone, e l’atmosfera è quella di un tranquillo luogo di campagna, dove questa piacevole “taverna” sembra perfettamente a suo agio. Sarà perché di questi tempi la trattoria “fa tendenza”, sarà perché la cucina è davvero di quelle che invogliano, ma qui – alla faccia della crisi, ma questo è un altro discorso – bisogna assolutamente prenotare se si vuol essere sicuri di trovare un posto. Il menu è raccontato a voce e oscilla tra la tradizione canavesana dell’abbondante tagliere di salami  e del salignun, sempre presenti tra gli antipasti, ai piatti tipici di stagione della tradizione italiana. Oggi a pranzo, per esempio, ho assaggiato ottime tagliatelle, rigorosamente fatte in casa, con i  funghi porcini (e che erano freschi si sentiva), un abbondante piatto di funghi fritti (a me piacciono) nonché un davvero, ma davvero autentico bonet.…

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Il sapore accattivante della mela blu

Dice spesso Davide Scabin – lo ha ripetuto anche a me, la sera che sono stata a cena da lui – che noi italiani “non siamo un popolo di ristoratori, ma di trattori”. Per questo il Blupum, la sua nuova creatura, nata da poco sulle sponde della Dora a Ivrea, l’ha chiamata Trattoria. E adesso che il Blupum raddoppia, e al piano superiore diventa Drogheria, richiamo anche questo al buon (?) tempo andato, quale commento dobbiamo aspettarci? Bisogna andarglielo a chiedere, al cuoco Scabin – ormai nessuno dei “grandi” ama essere chiamato chef, Gualtiero Marchesi docet – se mai si riesce a bloccarlo, tra un volo transoceanico e l’altro. Perché l’altra sua creatura del momento, di cui però, come lui stesso ci tiene a precisare, ha curato “soltanto la carta dei piatti”, è il newyorkese Mulino a Vino, di cui molto si sussurra ma ancora poco si sa davvero. Comunque i suoi piatti “50% tradizione piemontese e 50% italiana” a me sono piaciuti, e molto. E senza aver proprio niente da ridire – io che sono emiliana di origine – nemmeno sul gnocco fritto che accompagnava i salumi (ottimi) serviti tra gli antipasti, come si usa anche da noi. Qualche riserva, ma solo…

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