A Torino è arrivato Monet

MonetPartiamo da quello che non c’è: qui non ci sono le Ninfee. Ovvio, non fanno parte delle collezioni del Musée d’Orsay, generoso “prestatore” d’opere, nonché prezioso collaboratore all’allestimento. Dico questo senza malizia né secondi fini, soltanto per ricordare che, fra questi quaranta capolavori in mostra alla GAM  di Torino fino al 31 gennaio 2016, manca però una parte secondo me essenziale dell’opera di Monet. In compenso (e questo fia suggel con quel che segue) c’è l’inatteso e praticamente mai visto frammento (si fa per dire, visto che misura 248 x 218 cm) di Colazione sull’erba, omaggio e sfida al suo quasi omonimo Manet. Visto che era stato lui stesso a tagliarla in tre parti, questa enorme tela, dopo quasi vent’anni di abbandono alle muffe di una cantina, nulla di dissacrante. Istruttivo invece, direi, vedere, qui, questo quadro in posizione centrale accanto a quella meraviglia compiuta del ritratto di Madame Louis Joachim Gaudibert. C’è da chiedersi se Monet sarebbe stato d’accordo sull’accostamento…

A parte questa, che non è sicuramente da poco, la mostra di sorprese non ne riserva altre: paradossalmente troppo bella per emozionare davvero? Un susseguirsi di capolavori senza soluzione di continuità, che non danno tempo per riprendere fiato. Un full immersion in un’atarassica bellezza capace di riscattare e sublimare anche il dolore (come testimonia l’evanescente ritratto di Camille sul letto di morte). Neppure la spasmodica ricerca di scoprire il segreto della luce che trascorre col tempo (due momenti de La cattedrale di Rouen) suggerisce l’angoscia che sicuramente deve aver attanagliato il pittore durante il lavoro. Potere catartico dell’arte.

Eppure, forse perché ancora sotto l’impressione della forza devastante delle immagini di Boris Mikhailov viste ieri a Camera, io non sono uscita di qui totalmente soddisfatta. La ragione? Apparentemente non c’è.

A meno che non sia perché a Torino, in questo periodo, si stanno facendo troppe mostre d’arte…

 

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