Il Porchissimo: uno chef, la sua montagna e la tradizione del maiale
Ma sarà proprio un nimæl?
Convinta che il porco fosse cosa mia –sono nata in Emilia, dove il maiale si chiama ‘l nimæl, “l’animale”, e ho detto tutto – mi sono avviata assai sicura di me alla cena del Porchissimo. Nessuno chef del Piemonte, pensavo, per quanto bravo, appassionato, e profondo conoscitore della sua tradizione può pensare di poter competere, in materia, con le arzdore della mia terra natìa. Nemmeno uno del calibro di Francesco Eblovi (ex Nuovo Carretto di Ciriè e ora Valli di Lanzo di Ceres) e dei suoi validi collaboratori Samuele Riva e Luigi Esposito.
Però ero curiosa.
Sedersi a questa tavola per me è sempre stata un’esperienza felice, e ora che per farlo mi arrampico fin nelle verdi valli – in realtà, lo confesso, da Torino ci si arriva tranquillamente in poco più di mezz’ora – anche con una nota di divertimento in più. Perché l’aria di montagna deve aver pizzicato le corde della creatività di Francesco, che da quando è a Ceres – e cioè da nemmeno un anno – si è davvero scatenato. Non solo nel rivisitare e ripensare senza timori né pudori i suoi piatti, dai mitici “cavalli di battaglia” del Carretto ai nuovi frutto del cambio di location. Ma anche per la ventata di entusiasmo con cui sta felicemente contagiando l’atmosfera di questo bel paesino, un tempo resa vivace dalla presenza di numerosi turisti, e da troppi anni ormai fattasi invece, per dirla col poeta, alquanto “mite e sonnolenta”.
E edesso torniamo al Porchissimo.
L’invito parlava chiaro. A febbraio si uccide il maiale, quindi rispettiamo la tradizione e mettiamolo in tavola come si è sempre fatto. Bene, andiamo a provare che cosa sanno fare “i Piemontesi” alle prese col nimel.
Aperitivo: un calice di crémant alsaziano con tre fette di salame “appena fatto”. Un gusto per me inedito ma piacevolissimo, che ricorda appena la salsiccia, ma in realtà non le somiglia per niente. “Si faceva, una volta – spiega Francesco- e qualcuno, per fortuna, lo fa ancora. Se ne sceglieva uno da mangiare subito, mentre gli altri si mettevano a stagionare”.
E si comincia.
Il Batsuà. L’ho conosciuto qui in Piemonte, da noi, che io sappia, non si fa, e vorrei essere smentita, è talmente buono… Quello di Francesco è tenerissimo, per semplificarlo nella presentazione pensato a polpettine accompagnate da cavoli all’aceto delicato.
Segue…
la Griva, una sorta di fagottino di carne e fegato di maiale avvolto nella “rete”, in compagnia di spinaci freschi. Non il nome, ma la cosa in sé qualcosa mi ricorda, però non certo di questa equilibrata delicatezza. Anche perché il fegato, se mai si sentisse davvero, certo io non lo mangerei!
E ora, le… dolenti note.
I Sanguinacci. Questi poi no!!! Però, però, un assaggino… Buoni! Delicati, per nulla dolciastri come ricordavo, persino piacevoli alla vista. Meravigliose, poi, le cipolle in tempura che li contornano.
Finalmente la normalità
Ora il confronto diventa possibile: ovviamente con il Cotechino, presentato con un’ottima parmentier meno scontata della classica purea. Qui, però, mi sento di dire che è buono “come” un emiliano: ed è già un complimento di cui andare fieri!
A essere servito è nientemeno che il Preive. Mi aspettavo tutt’altro, e cioè il “mio” Cappello da Prete. Niente affatto: una delicata delizia che si scioglie in bocca e che, mi si spiega, è una cotenna appositamente scelta e opportunamente preparata. Alla cottura tradizionale, lenta e sulla stufa, qui si è sostituito un moderno cartoccio, ma il risultato mi assicurano sia quello originale.
E alla fine dell’avventura…
Ci “puliamo la bocca” con pere cotte alla lavanda, tanto buone quanto inaspettate, e intanto commentiamo
questa bella serata appena conclusa. C’è anche chi quasi si commuove, ricordando l’infanzia… Certo non è il mio caso, per me è stato tutto una novità. Ma una bellissima novità, ve lo assicuro. E una ragione in più per essere contenta di vivere qui, in Piemonte.
Info: www.ristorantevallidilanzo.eu