Roma, dove ancora si mangia in trattoria

marco aurelioLa prima differenza la fa il Ponentino. Arriva suadente, che non te lo aspetti, ma subito annusi un’aria diversa. È allora che cominci a guardarti intorno, rallentando passo e pensieri, e sei fatto: di Roma non ti liberi più!

Caotica, disorganizzata, strafottente… ma chi l’ha detto? Sono arrivata carica di nordiche diffidenze e prevenzioni e me ne sono andata con il ricordo di una città inaspettata e accogliente, dove spero di ritornare presto. «Già, perché qui è ancora tempo di ferie – spiegava l’arcano Raffaella, la nostra simpatica anfitriona di Casa Zavatti– aspettate che inizi a lavorare il Parlamento e comincino le scuole e vedrete quello che succede! » Di sicuro avrà avuto ragione lei, ma intanto la mia Roma è stata questa. Certo, non sempre i mezzi pubblici sono stati il massimo dell’efficienza, metropolitana antidiluviana in testa (ma noi, da bravi turisti, abbiamo macinato chilometri a piedi); certo, l’apertura dei Musei spesso non è stata quella prevedibile (ma poi ci si aggiusta “alla romana”, magari aggirando l’ostacolo con una telefonata… quasi sempre almeno!); certo, i prezzi dei taxi, alla richiesta, rasentavano la follia (ma basta non prenderli: perché correre?). In compenso, la vita scorre senza affanni; le persone sono gentili e disponibili (per due chiacchere e una battuta c’è sempre tempo); e la bellezza, della città, e di tutto quello che contiene, è da togliere il fiato.

cacio e pepePiacevolezza non ultima, e non certo secondaria, le cene in trattoria. Pur con tutti i distinguo che, indubbiamente, bisogna premettere (anche qui, temo, qualche tradimento alla traditio c’è sicuramente stato), la cucina romana è sicuramente il trionfo dei primi piatti, in primis, almeno per me, i sublimi tonnarelli cacio e pepe. Sono stati il mio piatto, la sera dell’arrivo, Dar Buttero, ai margini della Trastevere più turistica, e li ho ripetuti ogni volta che era possibile. Piatto semplicissimo, eppure quasi irriproducibile per il desco domestico, finché qualcuno (a cui serbo gratitudine) non arriva a svelare il segreto del procedimento…

Pesce freschissimo e appetitoso nella divertente Hostaria Scaloni, dove la snoopygaranzia di genuinità sta anche nella clientela fatta prevalentemente di locali. Perché i Romani, a differenza di quello che vedo abitualmente dalle mie parti, di uscire spesso a cena hanno la buona abitudine: altro punto a loro favore.

Ultimo, ma soltanto in ordine di spazio, Velavevodetto ai Quiriti, nel tranquillo quartiere Prati dove non mi vinodispiacerebbe trovare uno spazio tutto mio. Qui la trattoria si arricchisce di qualche pretesa negli arredi, più “da ristorante” tradizionale, senza per altro perdere in calore umano e qualità del cibo. Qui ho sperimentato “er mejo” dei vini locali che a Roma mi è capitato di assaggiare. Alla ricerca, da buona nordica, di un rosso interessante (difficile, nel regno del Frascati) la cantina ha rivelato una piccola perla: Sapiens, un Cesanese del Piglio DOCG dal color rosso intenso e dai sentori di marasca davvero interessante e, almeno per me, assolutamente inedito.

Che bella Roma. Ne parlerò ancora…ponentino

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *