Il Paradiso è a Caraglio

È un orto vero quello che apre la mostra, allestito nei due grandi cortili del Filatoio Rosso di Caraglio, curato da Paolo Pejrone, con l’aiuto quotidiano sul campo (questa volta, nel senso letterale del termine) del personale dell’Associazione Marcovaldo. E che alla fine i peperoni, appetibili frutti di stagione, siano misteriosamente scomparsi proprio la vigilia dell’inaugurazione, come Pejrone stesso ha raccontato con sorridente nonchalance, non è che un’ulteriore prova di quante difficoltà e quanti imprevisti comporti la coltivazione di un orto… Ma l’orto rimarrà lì, fino a fine mostra ad autunno inoltrato, pietra di paragone reale e mutevole per strappare una riflessione in più nel confronto con quegli altri giardini, di cui rappresenta pur sempre la forma universale, pronti a raccontare, di sala in sala, il viaggio degli uomini, andata e ritorno, tra cielo e terra. Gli "Orti del Paradiso" , così si intitola la mostra pensata da Martina Corgnati, si snoda infatti lungo un non scontato percorso atemporale suddiviso per quattro tematiche: Gan Eden, l’ideale giardino – Le Quattro stagioni – Ritratti di giardini – Dal giardino alla tavola. E l’idea portante, dall’orto dei cortili ai giardini dentro le sale, è proprio quella dell’intervento mutevole e mutante del tempo: dentro e…

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A Torino è arrivato Monet

Partiamo da quello che non c’è: qui non ci sono le Ninfee. Ovvio, non fanno parte delle collezioni del Musée d’Orsay, generoso “prestatore” d’opere, nonché prezioso collaboratore all’allestimento. Dico questo senza malizia né secondi fini, soltanto per ricordare che, fra questi quaranta capolavori in mostra alla GAM  di Torino fino al 31 gennaio 2016, manca però una parte secondo me essenziale dell’opera di Monet. In compenso (e questo fia suggel con quel che segue) c’è l’inatteso e praticamente mai visto frammento (si fa per dire, visto che misura 248 x 218 cm) di Colazione sull’erba, omaggio e sfida al suo quasi omonimo Manet. Visto che era stato lui stesso a tagliarla in tre parti, questa enorme tela, dopo quasi vent’anni di abbandono alle muffe di una cantina, nulla di dissacrante. Istruttivo invece, direi, vedere, qui, questo quadro in posizione centrale accanto a quella meraviglia compiuta del ritratto di Madame Louis Joachim Gaudibert. C’è da chiedersi se Monet sarebbe stato d’accordo sull’accostamento… A parte questa, che non è sicuramente da poco, la mostra di sorprese non ne riserva altre: paradossalmente troppo bella per emozionare davvero? Un susseguirsi di capolavori senza soluzione di continuità, che non danno tempo per riprendere fiato. Un full…

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Boris Mikhailov, mostra a CAMERA, Torino

Premessa: di fotografia, non ho difficoltà ad ammetterlo, capisco tra il poco e il niente, e non sono certo questi tristi tempi di selfie e di photoshop a spingermi al ravvedimento. Con questo spirito mi sono avviata stamattina alla conferenza stampa di apertura di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, il nuovo spazio multidisciplinare che apre da oggi a Torino (e dove, se no?), con l’intento di divenire in breve un punto di riferimento nazionale e internazionale per quanti guardano alla fotografia come a un’arte fondamentale. L’impresa è davvero di quelle che fanno tremare le vene e i polsi. Un palazzo dell’Ottocento, nato come Convento delle suore di san Giuseppe e poi passato attraverso varie destinazioni, viene ripensato per adeguarlo alle esigenze espositive contemporanee senza snaturare la storia del luogo né del suo contesto. Tutto questo in pieno centro storico, a pochi passi dal magico Museo Nazionale del Cinema, perfettamente a suo agio negli esoterici spazi della Mole Antonelliana. E fin qui, l’evento culturale. Che mi è parso bello, ben fatto e ben avviato, come spesso, per non dire quasi sempre, a Torino succede. Non vorrei aggiungere: fino a quando… (su, Torinesi, completate la frase). Nella speranza che questa volta…

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Una Taberna nei dintorni di Olympia

Seconda cena in Grecia, anche questa in una Taberna, come già ieri sera a Delfi. Non trovata sulla Lonely planet questa volta, ma indicata dal signor Panagiotis, il cortesissimo albergatore del Krono di Olympia dove siamo appena arrivati. Prima si assicura che, davvero, vogliamo una cucina greca autentica; poi sorride, contento anche lui che oi touristoi apprezzino il suo Paese. Ci aspetterà alzato, anche se torneremo a mezzanotte passata, per essere sicuro che possiamo trovare posto nel piccolo parcheggio dell’hotel, disposto in caso contrario a spostare la sua automobile. Non sarà necessario, ma questa è la xenìa che abbiamo incontrato, e non una volta sola, durante il nostro viaggio. La Taberna Piatia si trova, come è ovvio, sull’unica piazza di un minuscolo paesino a 5 km da Olympia di cui non ricordo il nome (ma ci saprei tornare). Tre case, come si dice, ma parcheggio selvaggio: lasciamo la macchina in sosta (forse?) vietata, con qualche patema ma scopriamo che altri hanno assolutamente meno scrupoli. Un aspetto, questo, della Grecia che sconcerta noi “nordici” abituati a rispettare malgré tout il codice della strada… Il locale, piccolo e assolutamente kitsch nell’arredo, è frequentato (lo scopriremo poi) anche dai “notabili” dei dintorni per…

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Bardon o della tradizione

Il primo a venirci incontro in cortile è il setter, scodinzolante e festoso come sempre, ma più tranquillo e posato di come lo ricordavo. Mi accorgo soltanto adesso che non è più un cucciolo o davvero dall’ultima volta è passato così tanto tempo? Si vede che me lo chiedo perché oggi è giorno di – inquieta – meditazione sul tempo: sono qui per festeggiare il mio compleanno. Mettiamola così. Però c’è il sole, anche se siamo in gennaio, la giornata è limpida e i pochi passi dalla macchina all’ingresso li posso fare senza giacca a vento. E adesso bando alle malinconie, siamo da Bardon! La forza di questa storica trattoria del Monferrato sta nella sua autentica traditio, perfetto e misurato equilibrio tra il tradere e l’altrettanto indispensabile tradire. La cucina è, senza cedimenti, quella della tradizione popolare monferrina. E gli avventori più fedeli, se non più i carrettieri di passaggio, sono comunque sempre i commercianti e i manager dell’odierno, fortunato e crescente, mercato del vino, che in questa terra di Barbera d’Asti continua ad avere in Nizza Monferrato e nei suoi dintorni di vigneti il suo cuore pulsante. Per loro, e per tutti i nuovi viaggiatori del food che qui…

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L’inattesa bellezza di un corpo trafitto

A questa mostra sono innanzitutto davvero grata, perché mi ha dimostrato che sono ancora capace di provare emozioni. Una sorpresa, non saprei come definirla in altro modo. Conoscevo già, e mi era piaciuto subito, il Castello di Miradolo, nuova e promettente sede di eventi d’arte tutt’altro che scontati, che deve la sua rinascita all’energia vitale di una signora che risponde al nome di Maria Luisa Cosso. Qui avevo già visitato la mostra sulle Donne del Risorgimento, che mi aveva colpito per il suo taglio intelligente e mai banale. Ma San Sebastiano è ancora un’altra cosa. Lo definirei un percorso di educazione alla bellezza. Del corpo, certo, come è ovvio che sia. Un soggetto che è stato scelto dai suoi autori, come ha suggerito benissimo il curatore (e ideatore del tutto) Vittorio Sgarbi, non certo per celebrare la santità di un martire.  Questo Sebastiano è Adone che prefigura Cristo, ma è soprattutto “l’uomo del Rinascimento con le sue passioni e le sue aspettative sul mondo e sul futuro”. Ma non basta radunare un gruppo di capolavori, sia pure scelti con cura e attenzione, perché il miracolo si compia. La meraviglia di questa mostra è che qui “ogni cosa è illuminata”. E…

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Il mondo filtrato dall’ “invenzione” dell’arte

Ce l’ho anch’io un ricordo di Casorati, anche se non proprio, come si dice, di prima mano. Una mattina di scuola, credo fossi in prima liceo, il mio professore di storia dell’arte, il pittore Riccardo Chicco, che di Casorati era stato allievo, ci raccontò di come aveva imparato a “fare” il nero. Tante righine di colori diversi tracciate una vicina all’altra e poi il dito del Maestro che ci passava sopra, confondendole. Ne era uscito un nero brillante e vivido, naturale e luminoso. E tutto nero, anzi nero su nero, è il primo quadro della mostra, quello che fece decidere Casorati di “fare il pittore”, il Ritratto della sorella Elvira che per me rimane uno dei più belli, e rivelatori. Non tanto perché sembra un po’ diverso dagli altri, più figurativo, meno geometrico e austero nonostante l’apparente non-colore, ma perché mi pare che qui l’autore dica anche qualcosa di sé. Il suo divertito amore per la pittura, per esempio, che può essere anche un serissimo gioco: la sorella trasformata in sdegnosa nobildonna, con tanto di stemma e nome in scrittura gotica. E già la voglia di raccontare il mondo e la vita non come appare, ma come è davvero, e…

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Questa volta i tre gufi… hanno portato bene!

Malanghero, frazione di San Maurizio Canavese in provincia di Torino, è un paesino piccolissimo, che si sviluppa lungo via Aldo Devietti Goggia – non sono riuscita a sapere chi fosse, attendo notizie – che praticamente fiancheggia la pista di atterraggio   dell’aeroporto di Caselle. Rumori di jet e quiete dei campi si alternano con accettabile regolarità, almeno nelle ore del giorno di cui sono stata testimone, e l’atmosfera è quella di un tranquillo luogo di campagna, dove questa piacevole “taverna” sembra perfettamente a suo agio. Sarà perché di questi tempi la trattoria “fa tendenza”, sarà perché la cucina è davvero di quelle che invogliano, ma qui – alla faccia della crisi, ma questo è un altro discorso – bisogna assolutamente prenotare se si vuol essere sicuri di trovare un posto. Il menu è raccontato a voce e oscilla tra la tradizione canavesana dell’abbondante tagliere di salami  e del salignun, sempre presenti tra gli antipasti, ai piatti tipici di stagione della tradizione italiana. Oggi a pranzo, per esempio, ho assaggiato ottime tagliatelle, rigorosamente fatte in casa, con i  funghi porcini (e che erano freschi si sentiva), un abbondante piatto di funghi fritti (a me piacciono) nonché un davvero, ma davvero autentico bonet.…

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Il sapore accattivante della mela blu

Dice spesso Davide Scabin – lo ha ripetuto anche a me, la sera che sono stata a cena da lui – che noi italiani “non siamo un popolo di ristoratori, ma di trattori”. Per questo il Blupum, la sua nuova creatura, nata da poco sulle sponde della Dora a Ivrea, l’ha chiamata Trattoria. E adesso che il Blupum raddoppia, e al piano superiore diventa Drogheria, richiamo anche questo al buon (?) tempo andato, quale commento dobbiamo aspettarci? Bisogna andarglielo a chiedere, al cuoco Scabin – ormai nessuno dei “grandi” ama essere chiamato chef, Gualtiero Marchesi docet – se mai si riesce a bloccarlo, tra un volo transoceanico e l’altro. Perché l’altra sua creatura del momento, di cui però, come lui stesso ci tiene a precisare, ha curato “soltanto la carta dei piatti”, è il newyorkese Mulino a Vino, di cui molto si sussurra ma ancora poco si sa davvero. Comunque i suoi piatti “50% tradizione piemontese e 50% italiana” a me sono piaciuti, e molto. E senza aver proprio niente da ridire – io che sono emiliana di origine – nemmeno sul gnocco fritto che accompagnava i salumi (ottimi) serviti tra gli antipasti, come si usa anche da noi. Qualche riserva, ma solo…

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